Nella strada
che percorro tutte le mattine è tutto un divieto. In un tratto il limite di
velocità è 70, in un altro 50, in un altro ancora 30 (gli venisse la diarrea
spasmica a chi l’ha messo e anche a chi l’ha pensato), poi ancora 70, poi ancora
50 e così via. E naturalmente c’è il furgoncino delle immondizie che si ferma
ogni 2x3, la corriera che fa fermate ad ogni albero, come i cani, poi l’ape car,
l’ape cross, il gruppo immancabile di pirloni in bici da corsa e magari anche il
vecchietto con il girello. Quindi non proprio un correre spensierati con il
vento tra i capelli, ecco.
Ora,
considerato l’orario infame, cioè le 8 di mattina, dopo che hai pensato a cosa
metterti, che hai combattuto (e perso) una battaglia di 20 minuti buoni con le
lenti a contatto, abbinato le scarpe (entrambe, dico) a tutto il resto, sceso di
corsa 3 piani di scale, ripassato velocemente le parolacce conosciute perché il
vicino ti ha lasciato 1 cm scarso per uscire dal cancello, che hai risalito di
corsa 3 piani di scale (le chiavi!), che sei scesa nuovamente (altra strofinata
sul cancello dove ti sporchi anche i vestiti e ripassi nuovamente le parolacce,
inventandone stavolta anche qualcuna di nuova), quando sali finalmente in
macchina e ti metti in strada, qualcuno ti può anche chiedere di guardare i
segnali stradali? No. Certo che no. Tanto più che essendo i limiti così
numerosi, alla fine uno li prende come una raccomandazione generica: un vai
piano, sii prudente, toh. Non credo venga proprio richiesto il rispetto preciso
del limite. E applico questa mia filosofia coadiuvata dagli automobilisti che
vengono in senso contrario: alcuni li conosco, mi fanno i fari per salutarmi, ma
altri non li conosco e mi sfanalano lo stesso per avvisare di eventuali
poliziotti/carabinieri/vigili urbani/lavoro in corso vari. E così se incontro
qualcuno che mi sfanala, io rallento. E poi faccio ciao ciao con la mano, che
non si sa mai sia uno che conosco. E così è tutto uno sfanalare, un rallentare e
un fare ciao. C’è gente che si stressa con molto meno, ma almeno evito le
multe.
Stamattina
però, la strada era deserta, si vede che erano tutti in week end lungo: c’ero
solo io, e anche contando le borse sotto gli occhi per il sonno, si arriva a 3
anime. Aggiungiamoci pure le balle piene, arriviamo al massimo a 5. Ma
nonostante ciò, chi lavora intrepido e ligio al dovere? La polizia, che mi si
staglia davanti su un lungo tratto di rettilineo. Immediato, il panico: il
limite sarà 70 o 50? Sarà mica 30?! Nell’incertezza, mi tengo sotto i 40, quasi
mi si spegne il motore.
Ovviamente
scatta la paletta. E vorrei vedere, ci sono solo io.
“Ma come mai va
così piano?” – chiede il solerte e non stupido poliziotto.
Capisco che non
c’è il limite dei 30 e mi rilasso. “Mah… mi godo questa bella giornata di sole.”
Sorrido alzando le spalle. Lo sguardo che si scambia con il collega mi fa
sospettare di non aver dato la risposta giusta.
“Se ne va a
spasso di mattina presto?” mi chiede ironico.
“No, le pare…
sto andando al lavoro.”
“Sentiamo, e a
che ora comincia per prendersela così comoda?” indaga.
“9 – 9 e mezza”
azzardo. Ecchecaspita, non è che mi puoi anche chiedere di fare i conti lì, su
due piedi, di quanto tempo impiega una povera crista ad arrivare al lavoro
andando a 38 km l’ora e di inventare anche un orario di entrata credibile. Che
poi non sono mai stata brava in matematica.
“Dunque,
ricapitolando – polemico d’un poliziotto! – lei stamattina ha visto questo bel
sole – e si gira verso il collega per averne l’approvazione – si è alzata presto
e ha detto, ma che bello, adesso mi faccio una bella trottata di 25 km ai 30
all’ora, mi godo un po’ la vista delle fabbriche, mi respiro un po’ di smog – e
fa pure il gesto di respirare a fondo – poi con calma, senza fretta, me ne vado
al lavoro. Giusto? Signorina, ma chi crede di prendere in giro? Crede che siamo
fessi?”
Certo che no,
ma non mi sembra il caso di spiegargli la mia filosofia sui segnali e nemmeno di
confessare di avere un’idea piuttosto generica di quale possa essere il limite
di velocità su quel tratto, quindi azzardo un “Be’, se non ho commesso nessuna
infrazione, posso andare? Sa, non vorrei mai fare tardi…” A momenti gli parte un
embolo.
“Favorisca
patente e libretto, per cortesia.”, sibila.
E io favorisco.
E poi è la volta del controllo delle gomme. E poi dei fanali. Poi tocca al
bagagliaio, poi di nuovo al libretto e poi ancora alla patente. Niente, alla
fine è costretto a lasciarmi andare.
“Vada, vada
pure, ma non intralci il traffico andando così piano. Ha capito??”
Sì che ho
capito e glielo dimostro ripartendo con una sgommata. Sullo specchietto lo vedo
in una nuvola di polvere che mi urla qualcosa: così a occhio e croce penso mi
abbia detto, “Buon lavoro e sii prudente”. E poi dicono che la polizia non è
gentile…
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