Non
mi sembra nemmeno vero. Ancora non ci credo. Undici mesi spesi ad
inviare curriculum che nessuno ha letto mai, a chiamare persone che non
volevano essere chiamate, a rispondere ad annunci di qualsiasi tipo e
poi, quando ormai cominci a rassegnarti al fatto che niente potrà mai
cambiare e anche l’idea di candidarti come fresatore meccanico non ti fa
più così schifo (anche se la tuta un po’ ti mortifica), ecco che arriva
l’imprevedibile. Finalmente l’opportunità di un colloquio, l’unico in
quasi un anno. Dove ti presenti comprensibilmente un filino agitata.
Anzi, molto agitata. Diciamo pure una pazza isterica.
E
se la discussione sulla parte tecnica va così così (e vorrei vedere voi
con il cuore a mille e il cervello in pappa), il colloquio con il
direttore del personale la compensa ampiamente.
“Un’esperienza invidiabile la sua - commenta serio con il tuo c.v. in mano – denota molta versatilità.”
Ma
siccome sei scema, quando ti chiede quale sarebbe il tuo lavoro ideale
rispondi che ti piacerebbe scrivere soap opera oppure tenere una rubrica
del cuore (per la quale avresti già un titolo, tra l’altro), al chè lui
si piega in due dal ridere convinto che tu stia scherzando: solo più
avanti scoprirà che non è così. Ma è talmente spiazzato e incuriosito
dalla cosa, che ti chiede di fargli un esempio lì per lì e per fortuna
che la fantasia non ti ha abbandonato come quella poco seria della tua
lucidità e ti inventi una storia dove lui è ovviamente il protagonista
assoluto, bello bellissimo, potente ma osteggiato, che incontra
un’orfana brava e bisognosa di aiuto che assomiglia stranamente a te (ma
pensa la coincidenza alle volte) e trovi il modo di inserire tra i
personaggi anche quella signorina con il tailleur costoso come uno
scooter che ti ha fatto accomodare. Tanto l’hai visto che l’ha sbirciata
da sotto gli occhiali. Lui ride, tu ridi, poi si torna seri e ti dice
che purtroppo non hai l’esperienza di cui hanno bisogno. Che son tempi
duri, non c’è tempo per la formazione: hanno bisogno di persone esperte.
Però sembra dispiaciuto, ti accompagna giù e all’ultimo ti offre un
caffè. Dove spari altre cazzate, perché quello sai fare.
“Le
faremo sapere mercoledì”, è l’ovvia conclusione. E tu cominci ad
aspettare. Aspetti. E aspetti. E aspetti ancora. Le ore sembrano non
passare mai e scatti a molla ad ogni squillo.
Alla
fine arriva la telefonata tanto attesa, un ultimo colloquio con un capo
(dove, tanto per cambiare sei ancora talmente agitata da non capire
nemmeno che capo sia) e finalmente le magiche parole: “Bene, quando può
cominciare?” Ma quelle parole sì che le capisci, eccome. Butteresti le
braccia al collo a entrambi, al direttore del personale e a quell’altro,
se solo sapessi chi è, ma pensi che forse, e dico forse, potrebbe
sembrare magari poco professionale e allora ti trattieni. Come se dopo
la storia delle soap opera avessi ancora qualcosa da perdere.
Prima
di andare però hai un’ultima curiosità: “Scusi, tanto per sapere, ma se
volevate una persona con un’esperienza specifica, perché alla fine
avete scelto me?”
“Perché
chi ha un’immaginazione senza paletti, come la sua, riesce ad avere una
visione diversa dei problemi e quindi delle soluzioni. La tecnica si
può sempre migliorare.”
Ciumbia! E io che mi pensavo una persona concretissima e terra terra.
Vediamo
se la penserà ancora così quando non riuscirò a trovare la bacchetta
magica che mi faccia imparare l’ostico mondo della prima nota.
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