mercoledì 20 giugno 2012

Il Dirigente

In azienda c’è una persona che chiamiamo Il Dirigente: nessuno sa di preciso quale sia il suo compito, la sua funzione, ma è indubbio che lui sia sempre al centro delle cose. Dove ci sono informazioni utili da sapere, decisioni da prendere, lui c’è.
Gli altri lo odiano, a me piace. Tranne quando mi costringe a parlare in pubblico, ovviamente. Nei giorni in cui il resto degli uffici della Direzione sono vuoti, lui lascia la porta comunicante aperta. Allora sentiamo le sue telefonate alla moglie, dove chiede come sta il cane, se la siepe cresce e se lei si ricorda per caso il nome del cameriere del bagno a Forte dei Marmi perché proprio non gli viene in mente. Non che gli serva saperlo, spiega, ma era una cosa che gli era venuta così, mentre “pensava all’estate”.
Il Dirigente é sempre rilassato, è uno che non ha fretta nella vita e lo capisci da come parla: per raccontarti una cosa successa nel ’98 parte dal ‘92. Ma è perché é cresciuto nella bambagia, non è colpa sua. Semplicemente, certe cose non le vede: lui vive ad un altro livello.
A volte entri, sta mimando un tiro di golf e ti butta lì:
“Sai, ci sono dei momenti in cui penso di guadagnare meno di uno scippatore. Tu per caso hai idea di quanto guadagni uno scippatore?”
E lo fa con una naturalezza tale che tu invece di insorgere a nome di tutta la categoria dei servi della gleba che non guadagnano in un anno tanto quanto lui con il solo bonus, ti ritrovi a pensare se conosci qualcuno che si guadagni da vivere strappando le borsette ad anziane signore, solo per poterlo chiamare ed informarti, tanto per dar prova di efficienza.
Oppure ti parla del suo ufficio, grande come il tuo intero appartamento, perché “dall’ufficio di una persona si capisce la sua importanza”; ma qui ha ragione, infatti il tuo é un’intercapedine tra la soffitta e lo sgabuzzino delle scope.
Tutto quello che non è strettamente in centro città per lui non esiste, se deve raggiungerlo in macchina è già campagna. Io che abito a 25 km da lì, sono praticamente un’extracomunitaria. “Come cresce l’uva quest’anno? - mi chiede ogni tanto - E il raccolto dimmi, come va?”
E che ne so io del raccolto. Abito in appartamento, mica in un agriturismo e se voglio veder la campagna devo prendere la macchina e andarmela a cercare, esattamente come lui. Ma non tento nemmeno più di spiegarglielo, ho capito che non mi ascolta. Preferisco riderci su. E quando esagera dandomi 102 cose da fare nello stesso momento, invece di arrabbiarmi gli rispondo:
“Dottore basta, che stamattina mi son già alzata all’alba per zappare con il fresco, ho già munto 2 vacche, tirato il collo a una gallina e stasera quando torno mi resta ancora da far su il fieno con il forcone, che c’ho già i calli al pensiero. Ci si metterà mica anche lei vero?”
Non so se capisce che scherzo, ma di sicuro se la ride come un matto e smette di caricarmi di cose, e questo è l’importante.
Nervoso a parte, adesso che il nostro rapporto di lavoro è quasi al capolinea, un po’ mi dispiace. Non mi mancherà il lavoro in sé, mi mancherà lui. Perché Il Dirigente, con quell’aria un po’ svagata, mi ha ricordato una gran cosa: che chi si affanna sempre per guardare dove mette i piedi, difficilmente trova il tempo di guardare il cielo. E infatti, mentre gli altri dirigenti si perdevano in sterili litigi interni, lui guardava oltre e si assicurava un posto nella nuova società.
E a me che da un anno sto con la testa bassa tutta presa dallo sforzo di arrivare viva a sera, ha fatto tornare la voglia di guardar le stelle.

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