domenica 2 settembre 2012

No non è vero



Non è vero che ce l’ho con i medici di base. Oddio, magari sì, ma solo un pochino. Voglio dire, li manderei un po’ in miniera, giusto un paio d’anni, facciamo 3, via, ma non è che gli voglio male.
E’ che mi stanno sul fegato. Perché non è possibile, sottolineo NON E’ POSSIBILE che se uno ha bisogno loro non siano mai e dico mai disponibili. Mi va bene che ricevano per appuntamento (!), va bene che per andarci ti devi prendere un giorno di ferie, va bene che non ti visitino mai manco avessi l’ebola, ma che se ti senti poco bene alle 3.00 del pomeriggio non ti risponda nessuno me le fa altamente girare a giostra.
Succede che mia mamma stia male (tanto per non perdere le vecchie abitudini), ma di un male vero, rabbioso, di quelli che ti fanno chiedere pietà. Ti attacchi allora al telefono del tuo medico cercando aiuto e comprensione e lui naturalmente non ti risponde. Chiami allora il 118, dove una cortesissima signorina ti ricorda che la Guardia Medica è disponibile solo dalle 20.00 in poi. Prima di quell’ora può solo mandarti un’ambulanza.
“Otto ore di pronto soccorso prima che qualcuno le dia due pastiglie e la rimandi a casa?” mi permetto di chiedere, conoscendo già la trama di un film visto fin troppe volte in questi ultimi mesi.
“Si deve rivolgere al medico di base.”, è la sua fredda risposta. Obietti che ci hai già provato e riprovato, ma senza risultato.
“Ma il medico di base DEVE essere disponibile – sentenzia – lo richiami e faccia la voce grossa.”
Ed è quello che faccio: faccio la voce grossa con il beep del fax che si inserisce nella linea telefonica dell’ambulatorio, alzo la voce con la signorina che mi informa che l’utente non è in quel momento raggiungibile e già che ci sono faccio l’arrogante anche con il telefono di casa sua che suona a vuoto. Quando arrivo davanti alla sua abitazione e vedo il cane mi impietosisco invece un po’ e non ho il coraggio di alzar la voce; me la prendo invece con il campanello che a momenti tiro giù dalla parete. Del dottore nemmeno l’ombra. E mia mamma si contorce dai dolori.
Passo in farmacia e spiego il problema. “Mi spiace ma non posso aiutarti, è complicato…”
No che non è complicato: tu vendi le medicine e io le compro. Andare su Marte è complicato, arrivare a fine mese è complicato, fare il tuo lavoro dovrebbe essere la cosa più naturale del mondo. Ma farei prima ad andare su Marte.
Alla fine, alle 19.30, riesco finalmente a parlare con il dottore, che chiama la farmacista che mi dà le medicine. Il tutto si risolve con una telefonata tra i due e una ricetta inviata via fax. Costata a mia mamma un pomeriggio di dolori atroci. Evitabile, evitabilissimo, se il medico avesse risposto a quel caspita di telefono.
No, non ce l’ho con i medici di base. Solo li impalerei con l’ombrellone, ma così, per scherzo. E tanto per rendere il gioco più divertente vorrei che i dottori venissero pagati in base alle visite che fanno e non al numero di pazienti che hanno: hai visto mai che non ritrovino la giusta motivazione professionale. O che cambino mestiere quelli che proprio non ci son portati: per me va bene uguale.

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