Un giorno succede che sei di corsa, distratta da mille
pensieri e senza pensare dai un po’ di latte a due micini arrivati chissà come
nel tuo giardino. Ma mica per compassione, giusto così, in modo automatico e
senza pensarci più. Perché non hai tempo, perché non hai voglia e soprattutto
perché di affetti cui badare ne hai fin troppi.
Poi succede che il latte glielo dai ancora e poi
ancora. Ed è così che ti frega la vita. Ti prende a tradimento quando sei
distratta e ti lascia dentro una sensazione, una percezione indefinita. Quel
senso di calore che ti avvolge quando vedi i gatti e loro vedono te,
riconoscendo l’uno nell’altro quella sensazione un po’ così.
“E’ solo per questa volta”, ti ripeti, pur sapendo che
non c’è niente di più definitivo di quello che ritieni essere provvisorio.
Perché il definitivo lo cambi, lo vuoi perfetto, ma nella provvisorietà accetti
qualsiasi cosa, raccontandoti che la potrai cambiare in qualsiasi momento. E
quando ti ricordi che tu di gatti non ne hai mai voluto sapere è troppo tardi,
ti sei già affezionata.
“Sono convinta che niente succeda per caso – spieghi a
tuo marito – mi piace pensare che siano capitati qui per un motivo.”
“Sì, perchè gli diamo da mangiare.”, risponde lui,
filosofo.
Per adesso sono serviti solo a farmi discutere con i
loro proprietari (si abbandonano così gli animali?) e a rosicchiarmi 2 paia di
infradito, ma io ho fiducia. Prima o poi sarò illuminata. Per adesso sto ancora
a chiedermi se sono io che ho trovato loro o se sono stati loro a trovare me.
“Mettigli almeno un nome evocativo, che abbia un
significato”, propone allora mio marito.
Li abbiamo chiamati Batman e Robin: evocativo lo è di
sicuro (George Clooney, tutina nera… presente? Ecco.) ed il significato… il
significato è che se uno ha una cultura, è giusto che la mostri. Ma se invece è
cretino, è giusto che si sappia.
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