mercoledì 27 giugno 2012

E' sempre lunedì

Il lunedì è per me giornata di riunioni, l’avrò ripetuto almeno mille volte. Son ripetitiva, lo so. Anche un filino logorroica magari. Ma per me è un incubo che si ripete e si rinnova ogni volta, senza mai diventare normale routine. Stamattina poi si è aggiunta anche la presenza dei capi capissimi, tanto per rendere la cosa più divertente. Comunque, grazie ai Maya, a Saturno che mi dice bene, al sonno del lunedì che rimbambisce non solo me (eccheccavolo, se c’è una giustizia…) ma anche le 13 anime disposte ad ascoltarmi, comincio a parlare senza intoppi. Dò fondo a tutta la mia esperienza: battutina iniziale per sciogliere l’atmosfera, sciorino senza difficoltà una serie apparentemente infinita di cifre, percentuali, proiezioni; apro parentesi, chiudo parentesi. Cerco di entrare in sintonia con i miei interlocutori parlando la loro lingua, per cui uso riferimenti calcistici per rispondere agli appassionati del pallone (e mi va di cul.. lusso perché io di sport non ne capisco una cippa), uso analogie di economia domestica con la dottoressa madre di 4 figli (idem come sopra e se possibile anche di più); li tengo svegli con un ritmo serrato di informazioni, la butto sullo scherzo quando gli animi si surriscaldano troppo e giocherello con il primo bottone per distogliere l’attenzione da quello che sto dicendo nei momenti di imbarazzo: alla fine perdo credo 3 chili ma posso dire che ce l’ho fatta. E soprattutto ho ancora la camicia. Quando il Presidente dichiara chiusa la riunione tiro finalmente un respiro di sollievo e me ne sto tutta tronfia a godermi il momento, autoproclamandomi in silenzio regina della comunicazione, principessa del Power Point e sovrana a vita dei grafici a torta.
“Vieni che ti presento ai tuoi potenziali nuovi capi” – mi sussurra Il Dirigente prendendomi per un braccio.
Son già preoccupata, anche perché il mio nuovo potenziale capo non ha proprio la fama del simpaticone, anzi, è uno che quelle come me, che nella gerarchia aziendale sono equiparabili all’albanese che ti lava i vetri agli incroci, non le saluta nemmeno.
“Basta che ridi alle sue battute e sei bella che a posto, gli sei simpatica a vita.” – dice Il Dirigente. Potrei avere a che dire su questo consiglio, ma sono stata disoccupata troppo a lungo per pormi problemi di lecchinaggio professionale. E poi nel frattempo mi ha già trascinata davanti al grand’uomo.
“Piacere, piacere”, e Il Capissimo mi accoglie con una battuta a dir poco idiota, accettabile sì e no se fatta da un bambino di 6 anni. Lo stritolamento al braccio del Dirigente mi ricorda che devo fingermi divertita, ma ormai il momento è passato, e così pure la mia occasione di mostrare tutta la mia sconfinata ammirazione nei confronti del grand’uomo.
Ci raggiunge l’ennesimo collaboratore del gruppo, con la bocca a canotto e un herpes da chilo, impossibile non notarlo e il Capissimo gli fa: “Ehi ciao, Boccadoro, te la sei presa comoda stamattina eh…”
E io sorrido come richiesto, anzi, rido proprio, di gusto e a lungo, perché a me l’agitazione fa venir la ridarola. Ma rido solo io, intorno a me il gelo. Dopo qualche secondo capisco e muoio: non era uno scherzo, Boccadoro è il suo vero nome.
“Come far sì che le persone si ricordino di te – se la ride più tardi il Dirigente – ci potresti scrivere un manuale.”
Quello che gli ho risposto io lo potete tranquillamente immaginare.

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