giovedì 19 aprile 2012

Tutta colpa del parcheggio


Siccome per andare al lavoro impiego circa mezz’ora, ma poi per trovare un parcheggio ci metto 35 minuti, stamattina ho deciso di utilizzare i mezzi pubblici. Tra gli altri accanto a me alla fermata, un piccoletto attacca subito bottone: pochi capelli, età indefinibile, all’apparenza uno che con la raccomandazione del Papa potrebbe trovare lavoro come lavavetri ai semafori, nella migliore delle ipotesi. Infilo gli occhialoni da sole, anche se quasi piove, e tiro su il bavero, tanto per far capire che la mattina presto sono simpatica come la sabbia nelle mutande. Lui mi squadra e continua a parlare, forse non coglie, o forse vuole chiacchierare e basta e non gliene frega niente che io ne abbia voglia o no. Quando saliamo, mi si piazza a fianco. Non rispondo, nemmeno a monosillabi, tanto lui fa un monologo.
Da come descrive sé stesso, povero ma bello, innamorato della mamma e della famiglia, mi sembra di essere in un film del dopoguerra: mi aspetto solo che tiri fuori da un momento all’altro la storia del nostalgico emigrante rimasto intrappolato nella miniera.
“No, perché io non disdegno di fare niente… se un giorno mi chiedono di fare il muratore faccio il muratore, se un giorno mi chiedono di piantar chiodi pianto chiodi, se il giorno dopo mi chiedono di mungere una vacca, mungo la vacca..” Mi verrebbe da chiedergli chi siano i personaggi strani che gli fanno tutte queste richieste diverse ogni giorno, o anche solo dove trovi la mucca da mungere in pieno centro cittadino, ma non voglio sembrare curiosa e mi trattengo.
“Sai, io ai miei tempi andavo forte…- continua - quando facevo il bagnino io, delle straniere non si salvava nessuna.. indovina qual era il mio metodo.” Le faceva ubriacare, penso, anche se non escludo che in un paio di casi sia dovuto ricorrere a una botta in testa.
“Io preferisco le straniere perché cercano di essere sempre belle per il loro uomo, non vanno in giro con le ciabatte di quando Anita aspettava Garibaldi e i capelli bisunti (mi chiedo chi frequenti). E poi le italiane ti valutano solo dai soldi che hai (anche dalla pulizia, vorrei dirgli, ma non voglio passare per quella troppo sofisticata). E poi state sempre a parlare di lucidalabbra, del Grande Fratello e di chi c’era all’aperitivo… “
Sento che sto per perdere la mia poca pazienza, ma per fortuna sono quasi arrivata; mi alzo e mi posiziono vicino alla porta, pronta a scendere.
“Tu mi sembri diversa – continua, alzandosi anche lui – quasi araba nell’atteggiamento (sarà perché non ho detto nemmeno una parola?). Che ne dici se una di queste sere si mangia qualcosa insieme?”
“Grazie ma no.” rispondo con un sorriso, mentre le porte si aprono.
“Allora mi sbagliavo… sei una delle solite stronze. Tutte così voi: o stronze o zoccole.”
“Ma stronzo sarai tu, deficiente!” gli rispondo mentre sono già sulla strada e sottolineo il concetto con il ditino alzato.
Mi giro per entrare, infastidita, e chi mi trovo faccia a faccia? Il mio capufficio che mi guarda allibito e prosegue senza dire una parola. Più tardi racconterà alle colleghe di avermi sentito offendere il conducente, forse reo di avermi fatto scendere dopo avermi beccata senza biglietto.
Ma bene. La considerazione che ha di me mi commuove. La sua capacità di capire le situazioni invece mi preoccupa.
E le colleghe è tutta la mattina che mi prendono in giro, le stronze.

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