sabato 28 aprile 2012

Scusi, ma com’era questa cosa del limite?

Nella strada che percorro tutte le mattine è tutto un divieto. In un tratto il limite di velocità è 70, in un altro 50, in un altro ancora 30 (gli venisse la diarrea spasmica a chi l’ha messo e anche a chi l’ha pensato), poi ancora 70, poi ancora 50 e così via. E naturalmente c’è il furgoncino delle immondizie che si ferma ogni 2x3, la corriera che fa fermate ad ogni albero, come i cani, poi l’ape car, l’ape cross, il gruppo immancabile di pirloni in bici da corsa e magari anche il vecchietto con il girello. Quindi non proprio un correre spensierati con il vento tra i capelli, ecco.
Ora, considerato l’orario infame, cioè le 8 di mattina, dopo che hai pensato a cosa metterti, che hai combattuto (e perso) una battaglia di 20 minuti buoni con le lenti a contatto, abbinato le scarpe (entrambe, dico) a tutto il resto, sceso di corsa 3 piani di scale, ripassato velocemente le parolacce conosciute perché il vicino ti ha lasciato 1 cm scarso per uscire dal cancello, che hai risalito di corsa 3 piani di scale (le chiavi!), che sei scesa nuovamente (altra strofinata sul cancello dove ti sporchi anche i vestiti e ripassi nuovamente le parolacce, inventandone stavolta anche qualcuna di nuova), quando sali finalmente in macchina e ti metti in strada, qualcuno ti può anche chiedere di guardare i segnali stradali? No. Certo che no. Tanto più che essendo i limiti così numerosi, alla fine uno li prende come una raccomandazione generica: un vai piano, sii prudente, toh. Non credo venga proprio richiesto il rispetto preciso del limite. E applico questa mia filosofia coadiuvata dagli automobilisti che vengono in senso contrario: alcuni li conosco, mi fanno i fari per salutarmi, ma altri non li conosco e mi sfanalano lo stesso per avvisare di eventuali poliziotti/carabinieri/vigili urbani/lavoro in corso vari. E così se incontro qualcuno che mi sfanala, io rallento. E poi faccio ciao ciao con la mano, che non si sa mai sia uno che conosco. E così è tutto uno sfanalare, un rallentare e un fare ciao. C’è gente che si stressa con molto meno, ma almeno evito le multe.
Stamattina però, la strada era deserta, si vede che erano tutti in week end lungo: c’ero solo io, e anche contando le borse sotto gli occhi per il sonno, si arriva a 3 anime. Aggiungiamoci pure le balle piene, arriviamo al massimo a 5. Ma nonostante ciò, chi lavora intrepido e ligio al dovere? La polizia, che mi si staglia davanti su un lungo tratto di rettilineo. Immediato, il panico: il limite sarà 70 o 50? Sarà mica 30?! Nell’incertezza, mi tengo sotto i 40, quasi mi si spegne il motore.
Ovviamente scatta la paletta. E vorrei vedere, ci sono solo io.
“Ma come mai va così piano?” – chiede il solerte e non stupido poliziotto.
Capisco che non c’è il limite dei 30 e mi rilasso. “Mah… mi godo questa bella giornata di sole.” Sorrido alzando le spalle. Lo sguardo che si scambia con il collega mi fa sospettare di non aver dato la risposta giusta.
“Se ne va a spasso di mattina presto?” mi chiede ironico.
“No, le pare… sto andando al lavoro.”
“Sentiamo, e a che ora comincia per prendersela così comoda?” indaga.
“9 – 9 e mezza” azzardo. Ecchecaspita, non è che mi puoi anche chiedere di fare i conti lì, su due piedi, di quanto tempo impiega una povera crista ad arrivare al lavoro andando a 38 km l’ora e di inventare anche un orario di entrata credibile. Che poi non sono mai stata brava in matematica.
“Dunque, ricapitolando – polemico d’un poliziotto! – lei stamattina ha visto questo bel sole – e si gira verso il collega per averne l’approvazione – si è alzata presto e ha detto, ma che bello, adesso mi faccio una bella trottata di 25 km ai 30 all’ora, mi godo un po’ la vista delle fabbriche, mi respiro un po’ di smog – e fa pure il gesto di respirare a fondo – poi con calma, senza fretta, me ne vado al lavoro. Giusto? Signorina, ma chi crede di prendere in giro? Crede che siamo fessi?”
Certo che no, ma non mi sembra il caso di spiegargli la mia filosofia sui segnali e nemmeno di confessare di avere un’idea piuttosto generica di quale possa essere il limite di velocità su quel tratto, quindi azzardo un “Be’, se non ho commesso nessuna infrazione, posso andare? Sa, non vorrei mai fare tardi…” A momenti gli parte un embolo.
“Favorisca patente e libretto, per cortesia.”, sibila.
E io favorisco. E poi è la volta del controllo delle gomme. E poi dei fanali. Poi tocca al bagagliaio, poi di nuovo al libretto e poi ancora alla patente. Niente, alla fine è costretto a lasciarmi andare.
“Vada, vada pure, ma non intralci il traffico andando così piano. Ha capito??”
Sì che ho capito e glielo dimostro ripartendo con una sgommata. Sullo specchietto lo vedo in una nuvola di polvere che mi urla qualcosa: così a occhio e croce penso mi abbia detto, “Buon lavoro e sii prudente”. E poi dicono che la polizia non è gentile…

mercoledì 25 aprile 2012

Tanti auguri e cin cin

Fare regali graditi non è mai semplice, trovare idee originali per persone che si conoscono da sempre non è cosa da poco, ricordare cosa si è già regalato e a chi, è impresa da titani. A volte. A volte invece alcuni regali restano talmente impressi nella memoria che diventa quasi impossibile dimenticarsene, anche quando magari si desidererebbe tanto poterlo fare. Soprattutto quando regalare qualcosa a qualcuno può sembrare un accanimento crudele. Come al nostro amico Massimino, per esempio.
C’é stato un tempo in cui nessuno tra gli amici voleva occuparsi di comprare i regali, preferendo delegare la scelta a me: che se darmi dei soldi e sperare che io li spenda in doni utili è di un’ingenuità pazzesca, mettere del denaro in mano a me, Gianlu e Simo è come consegnare una bomba a dei bambini.
Per cui, negli anni, trovandoci noi refrattari all’idea del solito maglione, essendo in disaccordo sulla scelta del colore del set dell’alpinista esperto, Massimino ha avuto la gioia di ricevere:
un mini corso di nuoto con personal trainer (carinissima peraltro), durante il quale già al primo tuffo ha avuto la sventura di perdere il costume che gli avevamo regalato, purtroppo di una taglia in più; ancora oggi si ostina ad incolpare noi della figuraccia, l’ingrato;
un abbonamento di massaggi in un Centro in cui ha fatto irruzione la polizia (capisco che dare spiegazioni mentre si è in mutande non sia piacevole, però nella foto sul giornale è venuto proprio bene, l’ha detto anche la sua mamma; e poi tutto fa esperienza: adesso sappiamo che se un posto è frequentato unicamente da uomini il motivo non può essere solo il prezzo conveniente;)
una minicrociera che prometteva 3 scali da sogno, purtroppo rimasti tali a causa del maltempo; d’altra parte, lo stesso viaggio in alta stagione sarebbe costato troppo, così come una cabina lontana dai motori della nave; e poi quante storie per un po’ di rumore… e comunque il rapporto tra le esalazioni di gasolio e il ricovero in infermeria non è mai stato dimostrato;
una bambola gonfiabile, chiamata Venerina; perché diciamolo, Massimino adesso fa tanto il figo, sta mettendo su casa con una sventolona bionda con 2 lauree, ma c’è stato un momento, mille anni fa, in cui come dire, non batteva chiodo; e siccome era abbastanza intelligente da prendersi in giro su questa cosa, noi 3 geni avevamo pensato di fare gli spiritosissimi comprandogli un regalo in un sexy shop, salvo poi ridacchiare imbarazzati come educande una volta entrati. E lì, tra un’occhiata a titoli misteriosi come Belle o Brutte se le Famo Tutte, Da Tronista a Trombista, tra un vagare divertito fra lingerie commestibili, manette, frustini e catene, non ti avevamo scoperto la Venerina. E fu subito amore: nel giro di pochi minuti la signorina aveva letteralmente preso forma sotto i nostri occhi, gonfiata da un distinto ed elegante commesso che ne aveva illustrato tutte le caratteristiche con professionalità e precisione, sforzandosi signorilmente nel contempo di ignorare Gianlu e Simone che alle sue spalle stavano dando sfoggio di grande maturità rincorrendosi l’un l’altro con degli enormi cosi in mano. Poi, sempre con invidiabile competenza ed aplomb, il tipo aveva evidenziato usi e vantaggi di una serie di altri optionals devo dire niente affatto noiosi, ma a quel punto Gianlu stava facendo l’imbecille con un estintore ed avevo dovuto tagliar corto.
Ma visto che è passato tanto tempo e che siamo in argomento, tengo a precisare che non è stata colpa nostra se tornato a casa un po’ provato dalla serata, Massimino ha abbandonato la Venerina in cucina. Certo, capisco il suo sconcerto la mattina dopo nel trovarsela davanti completamente vestita, ma non potevamo immaginare che sua madre fosse talmente pudica da volerne per forza coprire le vergogne e così ospitale da sederla al tavolo della colazione. Certo comprendo anche che un bambolotto gonfiabile con indosso la camicetta a pois e la gonna svasata della madre sia una visione perversa e inquietante, difficile da cancellare, così come non deve essere stato affatto facile affrontare lo sguardo esterrefatto del padre che bevendo il caffelatte si chiedeva silenziosamente dove avesse sbagliato con quel figlio. Ma ripeto, non è colpa nostra. Così come non possiamo essere incolpati del fatto che il nipote abbia scritto nel tema, “Mio zio ha un bambolotto gonfiabile, lo tiene nell’armadio.” Che poi mi rendo conto dell’imbarazzo provato dai genitori per essere stati convocati a scuola, ma la domanda se la vicinanza di un tale zio fosse da ritenere opportuna per il bimbo mi è sembrata un filino esagerata.
Così, detto tra noi, come mi sembra un tantino sproporzionata anche la reazione di Massimino, che quest’anno rifiuta categoricamente di festeggiare il suo compleanno ed ha anzi diffuso un sms preventivo che dice “niente regali grazie, preferisco vivere”. Ma paradossalmente é stato proprio così che ci ha fornito l’idea: un corso di agricoltura teorica e pratica. Aria aperta, movimento fisico, un po’ di cultura… ditemi voi se non è vivere questo; e non è nemmeno un regalo, perché noi copriamo solo una parte delle spese, il resto se lo deve pagare lui. Adesso ci manca solo il completino del perfetto zappatore.
Ma chissà come sarà contento Massimino… non vedo l’ora di dirgli che a fine corso potrà tenere la piantina di prezzemolo (certo, se la paga, ovviamente).

 

sabato 21 aprile 2012

Ma dov'é la telecamera?!

Dopo attenta riflessione, sono arrivata alla conclusione che le possibilità siano sostanzialmente due: o vivo nel magico mondo dei Puffi e me ne devo fare una ragione, oppure sono su Candid Camera e da un momento all’altro mi ritroverò su YouTube. Altre spiegazioni più sensate non me ne vengono in mente.
Ieri mattina scendo a bere il caffè con le colleghe: a due metri da noi, una signora sta consegnando alla signorina dell’accettazione l’impegnativa per un esame.
“E’ tutta bagnata – sorride Alice dallo sportello, prendendo il pezzo di carta con le sue unghie da competizione – ha già cominciato a piovere? Eh… anche in tivù avevan messo brutto tutta la settimana… e io che speravo di fare un giro in moto con mio moroso…”
“No, non sta piovendo – la rassicura la cliente – è bagnata perché mi si è rovesciato il campione delle urine dentro la borsa….”
“ARGHHHHH %%%&&&&& porc****stro***’azz***vaff***xx!!!!!!!” e l’Alice molla schifata l’impegnativa scrutandosi le mani per controllare che qualche acido non le abbia improvvisamente corroso le dita o, Dio non voglia, le abbia sbeccato lo smalto. Nel frattempo continua a sacramentare gridando come una matta.
“Ma no signorina, non serve che si arrabbi così, il campione non si è rovesciato del tutto, vedrà che le analisi riescono a farle lo stesso.”
Devo dire che in quel momento gli occhi fuori dalle orbite della ragazza mi hanno seriamente preoccupato, per l’incolumità sia sua che di quella della signora, ma per fortuna l’intervento di Mariolino ha risolto come sempre la situazione.
Qualche minuto dopo, calmatisi gli animi e allontanata la pazza la cliente, commentiamo l’accaduto con la povera Alice, che continua agitatissima a strofinarsi con foga le mani; non manchiamo anche di complimentarci per le sue unghie, per la tenuta dello smalto e soprattutto per la vasta e profonda conoscenza di vocaboli come dire, alternativi. In quel mentre si avvicina un signore anziano, con la faccia distorta dal dolore.
“Scusate, son due ore che giro a vuoto… sapete mica dirmi dov’è il bagno?” chiede tenendosi la pancia.
“Certo, è proprio là in fondo a destra, guardi.”
“Come dice? Ma destra dove…?!?! Ah là…Porc…cazz…Ecco…ME LA SONO FATTA ADDOSSO!!!!!”
Se il suo borbottio poteva lasciare qualche dubbio sul significato delle parole, si può dire che l’odore nell’aria ha fatto sicuramente chiarezza.
Conclusione della giornata:
1) Alice adesso usa il computer con i guanti in lattice; siccome sono neri, già in 2 le hanno chiesto se ha perso entrambe le mani e se quelle siano le protesi; nel caso, se l’intervento sia stato eseguito lì dentro, perché è davvero un bel lavoro, bravi: sembrano mani vere. Entrambi hanno assicurato che avrebbero fatto pubblicità al Centro;
2) Alice diffida di chiunque debba consegnare campioni di urina, fino a rasentare l’isteria quando qualche malcapitato dice incautamente “sono venuto per l’esame delle feci”;
3) Sono state messe segnalazioni dei bagni ovunque, per cui quando entri la prima cosa che vedi non è l’indicazione dei vari ambulatori, ma 3 gigantesche frecce con la scritta TOILETTE;
4) La Direzione ha diffuso una circolare vietando l’uso dello smalto per unghie durante le ore lavorative. E con perfetta logica, ha sconsigliato anche l’uso dei jeans.
Vi prego, ditemi voi se questo è un mondo normale.

giovedì 19 aprile 2012

Tutta colpa del parcheggio


Siccome per andare al lavoro impiego circa mezz’ora, ma poi per trovare un parcheggio ci metto 35 minuti, stamattina ho deciso di utilizzare i mezzi pubblici. Tra gli altri accanto a me alla fermata, un piccoletto attacca subito bottone: pochi capelli, età indefinibile, all’apparenza uno che con la raccomandazione del Papa potrebbe trovare lavoro come lavavetri ai semafori, nella migliore delle ipotesi. Infilo gli occhialoni da sole, anche se quasi piove, e tiro su il bavero, tanto per far capire che la mattina presto sono simpatica come la sabbia nelle mutande. Lui mi squadra e continua a parlare, forse non coglie, o forse vuole chiacchierare e basta e non gliene frega niente che io ne abbia voglia o no. Quando saliamo, mi si piazza a fianco. Non rispondo, nemmeno a monosillabi, tanto lui fa un monologo.
Da come descrive sé stesso, povero ma bello, innamorato della mamma e della famiglia, mi sembra di essere in un film del dopoguerra: mi aspetto solo che tiri fuori da un momento all’altro la storia del nostalgico emigrante rimasto intrappolato nella miniera.
“No, perché io non disdegno di fare niente… se un giorno mi chiedono di fare il muratore faccio il muratore, se un giorno mi chiedono di piantar chiodi pianto chiodi, se il giorno dopo mi chiedono di mungere una vacca, mungo la vacca..” Mi verrebbe da chiedergli chi siano i personaggi strani che gli fanno tutte queste richieste diverse ogni giorno, o anche solo dove trovi la mucca da mungere in pieno centro cittadino, ma non voglio sembrare curiosa e mi trattengo.
“Sai, io ai miei tempi andavo forte…- continua - quando facevo il bagnino io, delle straniere non si salvava nessuna.. indovina qual era il mio metodo.” Le faceva ubriacare, penso, anche se non escludo che in un paio di casi sia dovuto ricorrere a una botta in testa.
“Io preferisco le straniere perché cercano di essere sempre belle per il loro uomo, non vanno in giro con le ciabatte di quando Anita aspettava Garibaldi e i capelli bisunti (mi chiedo chi frequenti). E poi le italiane ti valutano solo dai soldi che hai (anche dalla pulizia, vorrei dirgli, ma non voglio passare per quella troppo sofisticata). E poi state sempre a parlare di lucidalabbra, del Grande Fratello e di chi c’era all’aperitivo… “
Sento che sto per perdere la mia poca pazienza, ma per fortuna sono quasi arrivata; mi alzo e mi posiziono vicino alla porta, pronta a scendere.
“Tu mi sembri diversa – continua, alzandosi anche lui – quasi araba nell’atteggiamento (sarà perché non ho detto nemmeno una parola?). Che ne dici se una di queste sere si mangia qualcosa insieme?”
“Grazie ma no.” rispondo con un sorriso, mentre le porte si aprono.
“Allora mi sbagliavo… sei una delle solite stronze. Tutte così voi: o stronze o zoccole.”
“Ma stronzo sarai tu, deficiente!” gli rispondo mentre sono già sulla strada e sottolineo il concetto con il ditino alzato.
Mi giro per entrare, infastidita, e chi mi trovo faccia a faccia? Il mio capufficio che mi guarda allibito e prosegue senza dire una parola. Più tardi racconterà alle colleghe di avermi sentito offendere il conducente, forse reo di avermi fatto scendere dopo avermi beccata senza biglietto.
Ma bene. La considerazione che ha di me mi commuove. La sua capacità di capire le situazioni invece mi preoccupa.
E le colleghe è tutta la mattina che mi prendono in giro, le stronze.

venerdì 13 aprile 2012

Signorina, mi fa una fotocopia?

Normalmente quando arrivo in ufficio le ragazze sono tutte seriose e indaffarate. Stamattina te le trovo con gli occhi che sbrillucciccano, le guance rosate e la faccia furbetta. Capisco che è successo qualcosa, ma sono nuova e non conosco le dinamiche dell’ufficio.
“Michi già che sei lì, mi fai questa fotocopia?” mi chiede la Collega 1 nascondendo a stento la ridarella.
Penso a uno scherzo, penso sia ubriaca, ma sono appena arrivata, non so cosa sia più probabile. Mi avvio incerta alla fotocopiatrice e distrattamente mi cade l’occhio sul foglio che mi ha appena allungato, dove c’è scritto: “Guarda nel cestino della carta.”
Scruto attenta e cosa ti vedo nel bidone, bella distesa e inequivocabile? La fotocopia di quello che a una prima occhiata potrebbe sembrare un fondoschiena. Mi piego per osservare meglio, sono incredula. Osservo scrupolosamente, ma l’immagine è chiara, nitida, impossibile dubitare: è un culo. Al di là di ogni incertezza o di ogni possibile interpretazione. Alzo gli occhi, intorno a me solo persone che ridono, seminascoste dai pc.
Inutile dire che nel giro di mezz’ora é già partito il toto-culo per capire chi sia il soggetto della copia; un veloce giro di mail scatena un movimento che non ti dico, mai vista tanta gente passare per l’ufficio. Chi entra dà uno sguardo al cestino, scuote la testa sbigottito, si gratta il mento, la testa, magari le orecchie e poi butta lì un nome.
La Collega 2, precisina com’è, prende subito nota senza però mancare di dire la sua: “No, non può essere, quello c’ha la chiappetta moscia” “No, ma che dici, quell’altro c’ha il culo a virgola”, tanto che ho capito che non si intende solo di partita doppia.
Poi verso le 11.00, la svolta: Mariolino, il radiologo, prende la fotocopia con aria professionale, la osserva un momento e poi fa un nome: niente tentennamenti, zero dubbi, sicurezza a mille. Gli altri tacciono, riflettono un momento e poi, finalmente, la proclamazione: il toto-culo è finito e Mariolino è il vincitore indiscusso; come premio può tenere la fotocopia. Grandi paccate sulla spalla, congratulazioni al trionfatore, frasi di rito come “Sì, l’avevo capito subito anch’io, volevo dirlo ma poi…” e alla fine Mariolino, orgogliosissimo, se ne va con il suo trofeo.
Sembrava finita lì e poi invece… riecco la Collega 2, quella che sta sempre a guardare il pelo e che se ne esce con un, “No è che mi chiedo… ma come avrà fatto Mariolino a riconoscerlo così, a colpo d’occhio?”
Neanche a dirlo: tempo 10 minuti e ti riparte un altro toto-perché, che poi uno si chiede come si possa trovare anche il tempo di lavorare. Tra le spiegazioni più gettonate:
- Mariolino faceva le capriole sulla fotocopiatrice con il soggetto della copia;
- Mariolino non ha bisogno di apparecchi per fare le radiografie perché usa quegli occhiali che ti fanno vedere le persone senza vestiti;
- Mariolino ha solo tirato a indovinare e ci ha presi tutti per il culo.
Mentre ci accapigliamo per difendere le nostre teorie, tirando in ballo anche i fenomeni paranormali e i tessuti che non sono più quelli di una volta e sotto una certa luce diventano trasparenti (facendo anche le prove controluce), entra il capufficio, ovvero l’ormai smascherato soggetto della fotocopia; porge un plico alla Collega 1 e chiede: “Mi fotocopi tutto, per cortesia?”
Quando si dice che uno se le va a cercare. E’ stato come togliere il detonatore a una bomba. Immediato e fragoroso lo scoppio di risa, contagioso più delle piattole, irrefrenabile come una cascata.
Mentre siamo ancora piegati in due dalle risate, entra il capo dei capi, un po’ spettinato e vistosamente infastidito e fa: “E alòra, siam mica al mercato qui… essù che c’è gente che c’ha da dormire…” e se ne torna disgustato nel suo ufficio.
Che dire… é sempre bello vedere che la professionalità è ancora un valore.

mercoledì 11 aprile 2012

Piccole Bugie Tra Amici

Allora. A me la cinematografia francese piace: mi affascina quella capacità di parlare di cose “piccole” in una maniera che però piccola non è, con tutto quello charme e quella capacità di tirar su una storia dove qualcun altro ci vedrebbe solo la banalità della vita quotidiana. Mi piace quel modo di suscitare emozioni senza scadere nella commedia e nel sentimentalismo, quel riuscire a trovare parole diverse per cose viste riviste e straviste come amore e amicizia. Sarà l’atmosfera, saranno quelle ambientazioni così affascinanti, che da sole mi fanno tornare in mente mille ricordi de la France… non lo so.  Fatto sta che con queste basi anche un film come Quasi Amici, tanto per fare un esempio, diventa immediatamente uno dei più interessanti di questa stagione, pur parlando di un’amicizia nata tra un disabile e il suo badante. Che se fosse stato fatto, che so, in Italia e uno si soffermasse un momento a leggere la trama, gli verrebbe da fumarsi immediatamente i biglietti del cinema. Per dire l’appeal. E invece no, è un bel film, così com’è bello questo, Piccole Bugie Tra Amici.
Perché ti ci ritrovi immediatamente, dal momento che ci sono i componenti classici di un qualsiasi gruppo di amici: il pippone che se la tira a gara ostentando case sul mare, barche sui cui ci potresti mettere in secca una balena, generoso e ospitale sì, ma che ogni minuto ti ricorda chi paga i conti; il bellone sempreverde e sempre a caccia ma con la morosa che lo aspetta, il tenero e sensibile che soffre per amore e stressa la razza umana con la centralità del suo patimento, classico esempio di egoista che per farsi due uova non esita a mandarti a fuoco la casa, come si suol dire. O la single che la dà via come il pane, del quale conserva però freschezza e genuinità. E così via.
Ambientazione a parte (una Cap Ferret che poco ricorda la provincia di Rovigo, ad essere sinceri), la storia potrebbe essere ambientata ovunque. Anche se in effetti le corse in barca donano alla storia un certo non so che, cosa che una corsa con la corriera di linea non sarebbe forse riuscita a dare.
Il titolo è Piccole Bugie Tra Amici, ma in realtà più che di bugie si tratta di segreti, di cose non dette: di essere incinta, di avere pulsioni omosessuali, di fumare di nascosto, di essere stato lasciato. Ognuno ha il suo, diverso dagli altri e che dagli altri difende.
E penso che anche nella vita di tutti i giorni sia effettivamente così, perché per quanto ce la raccontiamo con io-sono-quello-che-vedi, alla fine completamente trasparenti non lo siamo mai e una parte di noi, magari minuscola, sicuramente nascosta, resta irraggiungibile anche dalle persone che sentiamo più vicine.
Non parlo di bugie, parlo proprio di cose che spesso non riusciamo ad esprimere per pudore, per non far star male chi abbiamo accanto o semplicemente perché per alcuni dolori non si possono trovare le parole per raccontarli. Ma che poi alla fin fine, tanto segreti non sono, perché a chi ci vuole bene le parole non servono.
Quindi, non so se s’è capito, ma il film m’è piaciuto. Tutto, anche il finale: triste, ingiusto e inaspettato. Proprio come la vita.

lunedì 9 aprile 2012

Prego si accomodi

Non mi sembra nemmeno vero. Ancora non ci credo. Undici mesi spesi ad inviare curriculum che nessuno ha letto mai, a chiamare persone che non volevano essere chiamate, a rispondere ad annunci di qualsiasi tipo e poi, quando ormai cominci a rassegnarti al fatto che niente potrà mai cambiare e anche l’idea di candidarti come fresatore meccanico non ti fa più così schifo (anche se la tuta un po’ ti mortifica), ecco che arriva l’imprevedibile. Finalmente l’opportunità di un colloquio, l’unico in quasi un anno. Dove ti presenti comprensibilmente un filino agitata. Anzi, molto agitata. Diciamo pure una pazza isterica.
E se la discussione sulla parte tecnica va così così (e vorrei vedere voi con il cuore a mille e il cervello in pappa), il colloquio con il direttore del personale la compensa ampiamente.
“Un’esperienza invidiabile la sua - commenta serio con il tuo c.v. in mano – denota molta versatilità.”
Ma siccome sei scema, quando ti chiede quale sarebbe il tuo lavoro ideale rispondi che ti piacerebbe scrivere soap opera oppure tenere una rubrica del cuore (per la quale avresti già un titolo, tra l’altro), al chè lui si piega in due dal ridere convinto che tu stia scherzando: solo più avanti scoprirà che non è così. Ma è talmente spiazzato e incuriosito dalla cosa, che ti chiede di fargli un esempio lì per lì e per fortuna che la fantasia non ti ha abbandonato come quella poco seria della tua lucidità e ti inventi una storia dove lui è ovviamente il protagonista assoluto, bello bellissimo, potente ma osteggiato, che incontra un’orfana brava e bisognosa di aiuto che assomiglia stranamente a te (ma pensa la coincidenza alle volte) e trovi il modo di inserire tra i personaggi anche quella signorina con il tailleur costoso come uno scooter che ti ha fatto accomodare. Tanto l’hai visto che l’ha sbirciata da sotto gli occhiali. Lui ride, tu ridi, poi si torna seri e ti dice che purtroppo non hai l’esperienza di cui hanno bisogno. Che son tempi duri, non c’è tempo per la formazione: hanno bisogno di persone esperte. Però sembra dispiaciuto, ti accompagna giù e all’ultimo ti offre un caffè. Dove spari altre cazzate, perché quello sai fare.
“Le faremo sapere mercoledì”, è l’ovvia conclusione. E tu cominci ad aspettare. Aspetti. E aspetti. E aspetti ancora. Le ore sembrano non passare mai e scatti a molla ad ogni squillo.
Alla fine arriva la telefonata tanto attesa, un ultimo colloquio con un capo (dove, tanto per cambiare sei ancora talmente agitata da non capire nemmeno che capo sia) e finalmente le magiche parole: “Bene, quando può cominciare?” Ma quelle parole sì che le capisci, eccome. Butteresti le braccia al collo a entrambi, al direttore del personale e a quell’altro, se solo sapessi chi è, ma pensi che forse, e dico forse, potrebbe sembrare magari poco professionale e allora ti trattieni. Come se dopo la storia delle soap opera avessi ancora qualcosa da perdere.
Prima di andare però hai un’ultima curiosità: “Scusi, tanto per sapere, ma se volevate una persona con un’esperienza specifica, perché alla fine avete scelto me?”
“Perché chi ha un’immaginazione senza paletti, come la sua, riesce ad avere una visione diversa dei problemi e quindi delle soluzioni. La tecnica si può sempre migliorare.”
Ciumbia! E io che mi pensavo una persona concretissima e terra terra.
Vediamo se la penserà ancora così quando non riuscirò a trovare la bacchetta magica che mi faccia imparare l’ostico mondo della prima nota.

domenica 8 aprile 2012

Lui c'ha il SUV


Ho un vicino possessore di SUV. Se ne sia anche proprietario non lo so, ma non mi meraviglierei se avesse pagato solo le prime 3 rate sulle 102 totali. Di sicuro si comporta come se lo fosse, anzi, come se il guidare 3000 chili di macchina gli conferisse anche il titolo di Re dell’Asfalto o di Re dei Pirla, non lo so. Lo parcheggia ovunque e quell’ovunque, nella stradina minuscola di casa mia, include anche il tappetino del pianerottolo ma esclude categoricamente il garage di casa sua.
“Mi sento sicuro”, spiega. Va già bene allora che non s’è preso un carro armato, vien da dire.
“Ci sta di tutto”, si giustifica. E in effetti i sacchetti della spesa al discount ci stanno belli larghi.
Da quando si è comprato quell’auto, nella vietta ci divertiamo un sacco, siamo diventati una zona di burloni: possiamo giocare a chi trova il modo più originale per uscire di casa senza scavalcare per forza la recinzione quando lui ha parcheggiato a un millimetro scarso dalla tua porta, oppure a nascondino: una mattina ero convinta mi avessero rubato la 206, poi ho scoperto che era solo completamente nascosta dalla sua: può succedere, quando un’auto è talmente grande da avere il paraurti davanti in una strada e quello dietro in un’altra. E son sicura che l’altro vicino, quando esce la mattina alle 5.00 per andare al lavoro e si trova la strada bloccata dal SUV, non mancherà di ripassare le filastrocche di una volta, tipo: Maccondirondirondello, chi t’ammazzo col martello? Maccondirondirondello, posso farti i buchi col trivello? Perché alla fine si torna tutti un po’ bambini e ci si diverte davvero un sacco.
A volte però la vita riserva delle sorprese e abitare in una piccola cittadina può anche offrire dei vantaggi: per esempio, il mondo è piccolo e gira e rigira ti ritrovi sempre.  E stamattina andando in banca, cosa non ti vedo parcheggiato per metà sulle strisce pedonali, per metà quasi a ridosso di un bar e per intero in mezzo alle balle?
Ma il SUV, naturalmente, in tutto il suo splendore: nero, lucido e imponente; noto però che sfoggia un accessorio in più: una bella vigilessa che sta estraendo il suo per una volta utile libretto, con in faccia la chiarissima intenzione di usarlo. E finalmente in una mattinata un po’ concitata quanto inconcludente, mi ritrovo a sorridere pensando che alla fine, forse, la giornata non sia proprio da buttare.
Girato l’angolo incappo nel mio vicino, un po’ trafelato. “Ciao bella, scappo che son di corsa.. ho la macchina con le doppie frecce e non vorrei mai che qualche cretino mi mettesse la multa…”
Immediatamente, l’illuminazione. “Ma nooooo – cinguetto - non ti preoccupare, vengo proprio da lì e non c’è nessun vigile in giro. Te lo assicuro io. Senti ma… ti andrebbe un caffè?”
E lo allontano dalla zona, dalla vigilessa e soprattutto dalla possibilità di farsi togliere il multone all’ultimo minuto.
Morale: la mattina resta inconcludente, il mio vicino resta un idiota, ma ho avuto l’impressione di pagare le tasse per qualcosa. E mi son goduta 5 minuti buoni di armonia cosmica, felice come una giuggiola.
Naturalmente fino a quando il mio vicino non scoprirà del blog.

martedì 3 aprile 2012

Anche te però…


Alzi la mano chi di voi pensa che fare shopping con una donna sia più faticoso di una giornata in miniera. Tutti? Bene. Tutti quelli che hanno alzato la mano non hanno evidentemente mai provato a fare spese con due amici maschi.
Se poi lo scopo della missione è quello di comprare un vestito da cerimonia per uno dei due, pensateci su e ditemi se non preferireste andare a raccogliere pomodori per tutto il week end. Ci andreste, eccome se ci andreste. E pure gratis.
Allora, succede che Simone (vedi post 94), viene invitato a far da testimone di nozze. Allora noi, suoi solerti amici, cioè Gianluca (vedi post 95 e 110) e io (vedi post da 1 a 115), ci si offre prontamente di accompagnarlo.
Dall’uscita “Dài che bello, ti accompagniamo noi a prendere il vestito”, si doveva già aver capito che proprio una volpe non sono. Dal calcio mollatomi sotto il tavolo da Gianlu si doveva invece capire che ho proprio avuto un’idea del caspita.
Allora, tanto per esser chiari: Gianluca è uno che si rimira in tutte le superfici riflettenti, che ti sa dire la stagione esatta in cui Dolce&Gabbana ha anche solo pensato di creare quel pantalone nero con la pieghina un po’ così, uno nel cui vocabolario figurano parole come gessati cardati, cinture di pelle di cavallino e scarpe di suède. E’ l’unico che conosco che abbia più camicie di me, che le conservi in ordine di nuance e che riesca a pronunciare senza ridere termini come “pelle di vacchetta”.
Simone invece è uno convinto di essere vestito bene quando ha tutti e due i calzini dello stesso colore, l’idea che si possano anche eventualmente abbinare a tutto il resto non lo sfiora nemmeno.  Il suo concetto di eleganza si basa su punti cardine come:
-          la cintura non deve essere mai più bassa di 4-5 cm perché altrimenti non contiene la pancia;
-          la giacca opaca fa miseria, quella lucida fa eleganza; meglio se con disegnini tono su tono.
Da qui si può comprendere come dopo nemmeno 20 minuti nel negozio, lui e Gianlu stessero quasi per arrivare alle mani.
Inutili i miei tentativi di calmare gli animi: sembrava di stare ai combattimenti tra galli. Senza contare che avevo anch’io i miei bravi problemi: siccome io associo giacche e cravatte ad aitanti giovanotti e la sola vista delle button down mi provoca pensieri come dire, poco quaresimali, provate ad immaginarvi come potevo sentirmi in mezzo a 150 metri quadrati di lana di Tasmania, cotone chambray e pashmine di seta: ogni volta che il commesso tirava fuori un nuovo completino toccava uscire a prendere un po’ d’aria. Che se mi prende la tachicardia con questi primi caldi c’è mica tanto da stare allegri.
Metti insieme tutto e capisci perché alle 11.00 fosse assolutamente necessario prendersi una pausa.
“Magari un caffè veloce”, proponi.
“Magari un cappuccio”, rilancia Simone.
“Magari un po’ di frutta”, propone Gianluca.
E tanto per cercare di mettere d’accordo tutti, finisce che li porti nel baretto storico dove sai che un panino caldo con la mortadella in passato ha già risolto conflitti ben peggiori. Ma il clima è un po’ da ritrovo delle vedove e i due se ne stanno lì a mugugnare ognuno girato dalla sua parte. Allora ti giochi il jolly e ordini anche la birra. Niente. Due zitelle rancorose.
Con la scusa di andare a scegliere i tramezzini perdi due minuti al banco a chiacchierare con il cameriere, che è sì un po’ ruspante, ma in quel momento il fatto che non conosca la differenza tra un collo alla francese e uno da prete di campagna ti sembra quanto mai affascinante.
E quando torni, miracolo dei miracoli, i due disgraziati hanno fatto finalmente pace: anzi, son presissimi in una discussione su quali siano le reali colpe del Milan, per poi passare a Pato, Cassano e Ibra per la mezz’ora successiva. E quando tu obietti, scusate ma non si potrebbe cambiare argomento, ti senti rispondere: “Eh ma a voi donne non va mai bene niente però… t’abbiamo anche portato a fare shopping..”
E tu improvvisamente decidi di ringraziarli della bella giornata facendo loro un simpatico regalo: un bel paio di boxer ciascuno. Di una misura più piccola però, insistendo perché li indossino subito. Così, per il gusto di vederli grattarsi il c… tutta la sera.