Il mio capo deve aver pensato: 30 anni di attività, un
settore che non conosce crisi, solo personale specializzato e un’organizzazione
collaudata: cosa mai potrà scuotere le fondamenta di questa struttura? Niente!
Pensava lui. E invece no. E’ bastato l’arrivo di un
dottorino spagnolo e il perfetto equilibrio di questa struttura è finito in
1000 e più coriandoli.
Collaborazione? Non si sa più nemmeno cosa sia: le
infermiere si prendono a bastonate per essere in turno con lui. Si imbrattano i
camici a vicenda, si nascondono chiavi e strumenti di lavoro, non c’è limite
alla competizione: ogni dispetto diventa lecito con la giustificazione che in
amore e in guerra tutto è permesso. Alla faccia della Convenzione di Ginevra.
Quando si sparge la voce che il bell’Andrès sta per
arrivare, il nostro ufficio si trasforma in un pollaio in fiamme: c’è gente che
corre da tutte le parti. Chi in bagno per una controllatina (mannaggia guarda
che faccia che c’ho), chi scappa a cercare gli appunti di spagnolo per poterlo
accogliere con un “Buenos dìas” perfetto cui lui non possa fare a meno di
rispondere, “Sì si bonita, vamos todos a fare la corrrida.”
Perfino E., pluridecorata guerriera della notte, se ne
esce con una vocetta tutta miele, riuscendo a nascondere ogni traccia del suo
fiele. Per non parlare di L., una che ingoia un ombrello intero piuttosto di
darti una mano, ma che nel caso ci sia l’Andrès ti cinguetta, “Se serve fammi
un chiamo che vengo su.” Vengo su?! Ma se 2 minuti fa mi hai vista passare con
102 cartelle in mano e m’hai pure dato uno spintone…
Per non parlare del personale maschile: invidie,
calunnie, pazienti rubati e turni che saltano. E tutto perché si son rotti gli
equilibri, troppi galli nel pollaio.
Con l’Andrès è così, se non vedi non ci credi. Piace
alle donne, piace agli uomini, e questo suo voler stare sulle sue crea
competizione e frustrazione. Eppure non potrei dire che sia bello, è un
lungagnone curvo, malinconico e patito. Ma è sempre galante, tenero,
attento, è uno che ti porta nella favola; per non parlare di quel suo
strascicare le parole che smuoverebbe l’ormone anche alla Bindi.
Chissà come se la gode Andrès, verrebbe da pensare;
chissà come se la ride alla facciaccia nostra. E invece no. Dimagrisce sempre
di più, ogni giorno è sempre più pallido e smunto.
Gli manca casa sua, dice Collega 2. E’ innamorato,
dice Collega 1.
Nasconde un segreto, penso io. Sì perché Andrès è gay.
Inequivocabilmente, innegabilmente, incontrovertibilmente gay. Non si
vede, non lo diresti mai, ma lo è. Lo so perchè l’ho visto, una sera al mare,
con un amico, negli occhi uno sguardo di cui non lo credevo capace.
Ma di essere gay è una cosa che non puoi dire in una
struttura sanitaria, di provincia perdipiù. Non puoi permetterti di dire una
cosa così grande e sperare che non cambi nulla. Si imbarazzerebbero i colleghi,
riderebbero le colleghe, ti rifiuterebbero i pazienti. Perché un dottore
incompetente si può perdonare (a chi non è mai successo di sbagliare in fondo),
ma un dottore gay proprio no. E questo Andrès lo sa, sa cosa vuol dire
pregiudizio, anche se detto in una lingua che non è la sua, per cui si guarda
bene dal dire qualcosa. E tace.
Nel frattempo continua a far sospirare le donne
e ad esasperare gli uomini, in un crescendo di gelosie e vendette, ma la
continua finzione lo consuma e lo stravolge. E il pregiudizio, ancora una
volta, resta l’unico vincitore.
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