Ieri ho partecipato ai
festeggiamenti per un anniversario di nozze. Ma non un anniversario qualunque:
25 anni insieme. No dico, 25-anni-insieme,
un quarto di secolo, fatto di un paio
di storielle occasionali di lei, dei continui inciuci di lui, 2 mutui, 1 figlio e di quella rassegnazione profonda
che rende superfluo anche salvare le apparenze.
Per questo l’invito alla
cerimonia mi ha colto di sorpresa: mai avrei pensato che gli sposini
nascondessero un così profondo senso dell’umorismo.
Ma ieri, quando lei durante la messa cantava
l’Alleluia con forza e vigore mi è apparsa evidente una cosa: era veramente
contenta di essere lì, era davvero soddisfatta di quello che viveva come un
traguardo raggiunto. Del tutto irrilevante il come. E la commozione era
sincera.
Una storia banale, vista rivista e stravista, se non
fosse per l’età degli sposi: 51 anni lui, 48 lei. Giovani, troppo giovani per
pensarli rassegnati ad una vita di facciata, ad una quotidiana scelta tra il
male e il peggio.
Tanto più che lei è una tosta, una che se si impegna
può far piangere anche Polifemo, niente a che vedere con la nonna che stava a
casa a far la calza. Semplicemente, inaspettatamente, ha deciso che il
matrimonio fosse la cosa più importante, un valore da salvaguardare e a cui
sacrificare tutto il resto.
Giusto, sbagliato, non lo so. Non è fra i sogni di una
vita, di sicuro non è così che mi immagino il mio 25mo anniversario di matrimonio.
Però una cosa a questa coppia va riconosciuta: il coraggio di non mollare al
primo colpo, di provare sempre senza arrendersi mai.
E mi domando se, anche senza arrivare a tanto, dal
loro esempio non ci sia qualcosina da imparare.
(Oltre ad evitare le bomboniere glitterate a forma di
rondine naturalmente).
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