Nelle interminabili ore trascorse in una stanza di
ospedale, diventa inevitabile chiacchierare con chi ti sta accanto, malati e
non. Un po’ per la noia, un po’ perché si crea un senso di solidarietà, un po’
per dare un senso a quelle ore vuote, ma alla fine diventa naturale il
raccontare e il raccontarsi.
Oggi il figlio della signora accanto a mia mamma mi ha
confidato di sentirsi vecchio.
“Quand’ero ragazzino sciorinavo i nomi, le date di
nascita e i ruoli dei calciatori del Grande Torino. In ordine alfabetico, dalla
A alla Z e viceversa. Mica da tutti. Da adolescente avrei potuto citarti i nomi
di tutte le playmate di Playboy, compresi i mesi in cui erano apparse. Adesso
al massimo ti posso fare un elenco dei nick che ho conosciuto negli ultimi
mesi.”
Gli chiedo se riesce a fare anche questo in ordine
alfabetico, ma la mia domanda cade nel vuoto.
E’ sconsolato, oggi va così. Lo guardo: 50 anni, un
po’ di pancia e un accenno di calvizie.
“Ha la fronte alta - dice mia mamma - vuol dire che è
intelligente.” Se è così, mi sa che tra qualche anno diventerà un genio.
Gli parlo di felicità e di disillusione, ma è un
ingegnere, ci vuol pazienza, abbiamo difficoltà nell’incontrarci in un
linguaggio comune. Se io vedo un bicchier d’acqua penso che sia bella fresca,
lui ti tira fuori l’assorbimento atmosferico. Se gli chiedo come sta sua madre
mi risponde “condizioni standard” e sono sicura che fa almeno 3 disegnini (con
5 revisioni) prima di trovare la giusta posizione per il vassoio dei pasti. Mi
domando se la sua vita sia organizzata in base alla programmazione delle
repliche di Star Trek.
Quando gli dico che una delle mie paure è di arrivare
ad avere così tante rughe da dovermele spianare con il ferro da stiro, lui
scoppia a ridere. Un altro mi prenderebbe in giro o mi confesserebbe le sue di
paure, ma lui no: se ne esce con una spiegazione scientifica del perché le
pieghe della pelle non possano essere cancellate come una qualsiasi altra
grinza. Più che un uomo, mi sembra una copia della rivista Focus Edizione
Spiaggia: Botte e risposte ai mille perché della vita.
Oggi è rimasto più di un’ora ad osservare sua madre
mentre dormiva. Lo sguardo triste, silenzioso. Gli ho portato un caffè, mi
aspettavo venti minuti di menate sulla caffeina e sugli alcaloidi in genere e
invece si è alzato e mi ha abbracciato. E’ rimasto fermo così, senza parlare.
Ancora una volta ha vinto lui: è riuscito a sorprendermi.
Ma direi che abbiamo finalmente trovato un linguaggio
comune.
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