Che poi uno pensa ad un bambino come a un’anima
candida, una creaturina celestiale priva di qualsiasi pensiero meno che puro.
Ma quando mai… nelle favole di Andersen forse. E dico forse, perché su quella
sgallettata della Sirenetta non ci scommetterei nemmeno 1 euro.
Il fatto è che quella santa creatura capitatami come
nipote (gioia della zia), nutre un’incomprensibile quanto ingiustificata
diffidenza verso le persone di colore. Tutte, indistintamente. E non si capisce
da dove venga questa cosa, perché dalla famiglia certo non l’ha presa. Ma
tant’è.
Succede che passino a casa mia i bambini adottivi
della mia amica. I bambini sono etiopi, quindi scuri. Passano per prendere dei
biscotti che avevo preparato apposta per loro. (NDR per mia nipote adorata:
ALMENO LORO MANGIANO SENZA FARE TANTE STORIE e non chiedono: Ma la cioccolata
non c’è? Ma non hai di nuovo confuso il sale con lo zucchero, vero zia? Per
dire.)
Quando capisce chi ha suonato al citofono, mia nipote
(che non li aveva mai visti prima), scappa in camera e si rifiuta di venirli
anche solo a salutare. Dopo qualche minuto di trattative, convinta dalla
suadente voce della zia e soprattutto perché vuole arrivare viva alla fine
delle elementari, la principessa decide di concedere un’apparizione di pochi
minuti, giusto per dire ciao.
All’inizio però non dice nulla, ma la bocca aperta
dice più di 1000 parole. Avete presente me quando vedo Tyson Beckford nella
pubblicità dell’intimo? Ecco, uguale. Perché c’è da dire che se la bambina è
bella e simpatica, questo 11enne è proprio uno spettacolo della natura:
alto, snello, simpatico, un sorriso che sfrucullia le budella all’intero plesso
scolastico ed è pure galante.
Quando la mia creatura riprende l’uso della parola (la
mia gomitata non era voluta, giuro), è stato tutto un “Ma come parli bene
l’italiano – e stavolta la gomitata era più che voluta – Ma che classe
frequenti? Oh… la prima media… come dev’essere bello..”. Il tutto tra una
sistemata di capelli e un groviglio di sospiri. Una vergogna.
Quando le faccio notare che deve ancora finire i
compiti, risponde con un noncurante “Le mangiate 2 patatine? Qualche biscotto
con la nutella magari?”, trasformando una visita che doveva essere di pochi
minuti nell’impegno di mezza giornata.
Giocano con la wii, parlano di scuole, piscina e
cavalli. Mia nipote si scopre tifosa di calcetto. Ascoltano musica con l’i-pod,
accennano qualche passo di ballo e qualche parola del testo. Mia nipote
manifesta un improvviso interesse per il rap.
Al momento dei saluti li lascia andare a malincuore,
tra baci, abbracci e promesse di rivedersi presto.
“Ti sei convinta adesso che i bambini neri sono
esattamente come te?”, chiedo.
“Assolutamentissimamente sì.”
“Hai capito che la devi smettere con queste paure
immotivate che poi lo sai che il papà e la mamma si arrabbiano?”
“Certo che sì, non succederà mai più. Promesso
promessissimo.”
“Allora domenica ti porto a vederlo giocare a
calcetto?”
“Sì, ma prima devo disdire con la Jasmine, ero
d’accordo di andare a casa sua.”
“Ma se eri già d’accordo per vedervi perché non porti
anche lei alla partita?”
“Ma no, che vuoi che ne capisca lei di ragazzi… è marocchina, figurati.”
Ecco, appunto.
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