Il lunedì è per me giornata di riunioni, l’avrò ripetuto almeno
mille volte. Son ripetitiva, lo so. Anche un filino logorroica magari. Ma per me
è un incubo che si ripete e si rinnova ogni volta, senza mai diventare normale
routine. Stamattina poi si è aggiunta anche la presenza dei capi capissimi,
tanto per rendere la cosa più divertente. Comunque, grazie ai Maya, a Saturno
che mi dice bene, al sonno del lunedì che rimbambisce non solo me (eccheccavolo,
se c’è una giustizia…) ma anche le 13 anime disposte ad ascoltarmi, comincio a
parlare senza intoppi. Dò fondo a tutta la mia esperienza: battutina iniziale
per sciogliere l’atmosfera, sciorino senza difficoltà una serie apparentemente
infinita di cifre, percentuali, proiezioni; apro parentesi, chiudo parentesi.
Cerco di entrare in sintonia con i miei interlocutori parlando la loro lingua,
per cui uso riferimenti calcistici per rispondere agli appassionati del pallone
(e mi va di cul.. lusso perché io di sport non ne capisco una cippa), uso
analogie di economia domestica con la dottoressa madre di 4 figli (idem come
sopra e se possibile anche di più); li tengo svegli con un ritmo serrato di
informazioni, la butto sullo scherzo quando gli animi si surriscaldano troppo e
giocherello con il primo bottone per distogliere l’attenzione da quello che sto
dicendo nei momenti di imbarazzo: alla fine perdo credo 3 chili ma posso dire
che ce l’ho fatta. E soprattutto ho ancora la camicia. Quando il Presidente
dichiara chiusa la riunione tiro finalmente un respiro di sollievo e me ne sto
tutta tronfia a godermi il momento, autoproclamandomi in silenzio regina della
comunicazione, principessa del Power Point e sovrana a vita dei grafici a
torta.
“Vieni che ti presento ai tuoi potenziali nuovi capi” – mi sussurra
Il Dirigente prendendomi per un braccio.
Son già preoccupata, anche perché il mio nuovo potenziale capo non
ha proprio la fama del simpaticone, anzi, è uno che quelle come me, che nella
gerarchia aziendale sono equiparabili all’albanese che ti lava i vetri agli
incroci, non le saluta nemmeno.
“Basta che ridi alle sue battute e sei bella che a posto, gli sei
simpatica a vita.” – dice Il Dirigente. Potrei avere a che dire su questo
consiglio, ma sono stata disoccupata troppo a lungo per pormi problemi di
lecchinaggio professionale. E poi nel frattempo mi ha già trascinata davanti al
grand’uomo.
“Piacere, piacere”, e Il Capissimo mi accoglie con una battuta a dir
poco idiota, accettabile sì e no se fatta da un bambino di 6 anni. Lo
stritolamento al braccio del Dirigente mi ricorda che devo fingermi divertita,
ma ormai il momento è passato, e così pure la mia occasione di mostrare tutta la
mia sconfinata ammirazione nei confronti del grand’uomo.
Ci raggiunge l’ennesimo collaboratore del gruppo, con la bocca a
canotto e un herpes da chilo, impossibile non notarlo e il Capissimo gli fa:
“Ehi ciao, Boccadoro, te la sei presa comoda stamattina eh…”
E io sorrido come richiesto, anzi, rido proprio, di gusto e a lungo,
perché a me l’agitazione fa venir la ridarola. Ma rido solo io, intorno a me il
gelo. Dopo qualche secondo capisco e muoio: non era uno scherzo, Boccadoro è il
suo vero nome.
“Come far sì che le persone si ricordino di te – se la ride più
tardi il Dirigente – ci potresti scrivere un manuale.”
Quello che gli ho risposto io
lo potete tranquillamente immaginare.