Sembra impossibile lo so, ma certi giorni riesco ad
essere più svampita di sempre. Ma non ne ho merito, giuro. Mi alzo e sono già
così. Gli altri si alzano arzilli, arruffati o assonnati; magari incazzati,
spesso indaffarati. Io mi sveglio con i cespugli nella testa, appena smossi dal
vento. Avanti e indietro. Avanti e indietro…
Ma mica solo per un’ora. No no, io sto proprio
tutto il giorno con un sorriso tra l’ebete e l’infinito. E osservo.
Osservo il mondo che mi circonda, l’autunno che avanza, le foglie che cadono.
Osservo la mia vita che scorre.
E penso. Penso un sacco. A tutto, ma fondamentalmente
a niente.
Penso a come sarebbe stata la mia vita se fossi nata
bionda per esempio.
O a come si chiamava la mia compagna di classe in
seconda elementare, quella che per finire i compiti se l’era fatta addosso. Ed
era venuta la cameriera a prenderla. Non la mamma, la cameriera. Con tanto di
divisa. E noi tutte l’avevamo raccontato a casa, come quella volta che avevamo
trovato una vipera in cortile.
In giorni come questi niente mi tocca veramente, nulla
mi raggiunge nel profondo. Giorni come questi sono quelli fortunati. E prego
che niente venga a scrollarmi dal mio torpore, perché nel resto del tempo tutto
mi sciocca a morte. Troppo per non sentire il bisogno di una pausa.
A volte mi capita di invidiare il mio vicino
d’ufficio: 55 anni, una moglie depressa cronica, un figlio debosciato e un
contratto di lavoro che non sarà rinnovato a fine anno. Lui lo sa, ma canta.
Canta sempre, tutti i giorni. Cantava prima, canta adesso.
“Amalia Amalia Amalia se ti allunghi sulla pallia ti
insegno la battallia, la battallia dell’amor...”
Invidio la sua leggerezza, il suo
fatalismo, la sua fiducia nel futuro. La rassegnazione dignitosa con la quale
accetta i cartoni in faccia che la vita gli elargisce a piene mani. Ma invidio
soprattutto la sua incoscienza, quel suo essere sospeso senza essere mai
superficiale.
“Sono cose che accadono ai vivi”, ripete sempre,
scrolla le spalle e sorride.
E alla fine ha ragione lui,
perchè per quanto tu ti impegni le cose accadono lo stesso e starci male prima,
dopo e durante serve a poco: è come se ti arrovellassi il cervello prima di
uscire di casa per paura di romperti una gamba, poi ti rovinassi il fegato dal
nervoso se succedesse veramente e già che ci sei ti dessi una martellata alle
gengive e infilassi due dita nella portiera della macchina per il dispiacere.
Che è quello che faccio sempre io. Vorrei invece essere meno come me e più come
lui, sentirmi più spesso come mi sentivo oggi. Vorrei un impermeabile contro
certe emozioni, quelle più inutili e tossiche, contro le paure immotivate, le
pippe mentali e i giri a vuoto. Vorrei del cellophane a farmi da pelle. Quella
pelle che io non ho. E se un giorno, a dispetto di tutto, riuscirò a cantare
anch’io:
“Amalia Amalia Amalia se ti allunghi sulla pallia ti
insegno la battallia, la battallia dell’amor... Amalia amalia chi si ama non si
sbalia, nella vita e nell’amor”... vi invito tutti a festeggiare con me. Perchè
quel giorno sarà un gran giorno.