martedì 21 agosto 2012

The rise and fall

In piscina ho incontrato Aldo, uno che conosco da tempo ma che non vedevo da un po’, uno di quelli “che ce l’ha fatta”. Per un po’ ho lavorato con lui a un progetto, insieme abbiamo anche vinto un premio a livello nazionale. Niente Nobel, niente Pulitzer, ma nel settore ce la siamo tirata che di più non si poteva. Io ne ho parlato per settimane, ho mostrato le foto della premiazione a mia madre, mi veniva un groppo in gola ripensando al discorso di ringraziamento. Ho trascorso mesi su quel progetto, ho sudato sangue, gli ho dedicato tutto il mio tempo e sacrificato tutte le mie energie. Credevo fosse importante. Era importante. Ma vendevamo solo sogni e forse in quei sogni abbiamo finito per crederci davvero. Proprio per questo il risveglio è stato brusco. Io ho perso il mio lavoro e di quel premio vinto non se ne ricorda più nessuno. Lui, il grande Aldo, l’ho perso di vista. Fino ad oggi.
Mi saluta ma sembra imbarazzato, non mi guarda negli occhi. Nessuna traccia della baldanza per la quale era famoso. Vorrei dirgli che non gli porto rancore per non aver risposto alle mie telefonate quando mendicavo un colloquio; non è stato l’unico, purtroppo, e da tempo ho accantonato quel tipo di risentimento. Parlo senza sosta, gli chiedo di questo, di quello e di quell’altro ancora.
“Lavoro qui.”, m’interrompe. Qui dove? Penso. Non vedo mega uffici, segretarie sorridenti, targhe e trofei. Solo bambini urlanti e mamme che li riacciuffano al volo.
“Lavoro qui.”, ripete piano. Finalmente capisco. Lavora al bar della piscina.
Non me l’aspettavo ma non ho bisogno di chiedere altro, so come vanno queste cose. Un giorno sei un esempio per tutti, quasi una leggenda nel suo caso, e il giorno dopo sei solo un costo e un peso per l’azienda. Non ci sono domande che vorrei fargli, solo cose che vorrei dirgli: che perdere il lavoro non è la fine del mondo, per esempio, che un’occasione arriva sempre. L’importante è dimenticarsi di chi si era prima ed essere disponibili a ricominciare da zero. Vorrei dirgli questo e molto altro, invece mi siedo e gli chiedo un caffè.
Lui tace, non dice nulla, ma sento che il peggio è passato.
Quando bevo il primo sorso, mi scappa un sorriso. Perché non è un caffè qualsiasi, è un signor caffè. D’altra parte, lo ha fatto Aldo. E quando uno è un grande, è un grande qualsiasi cosa faccia. E’ solo lo stipendio che cambia. Ma come diceva lui, “I dettagli fanno la differenza, ma non potranno mai essere la sostanza”.
Chissà se la pensa ancora così.

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