Ho perso la tesserina
del bancomat. Anche la carta di credito. E vabbè.
Dopo aver telefonato
alla banca vado dai Carabinieri per presentare denuncia di smarrimento.
E’ proprio vicino a
casa mia. Che bello penso, 10 minuti e me la cavo. Era meglio se credevo alla
Befana.
Suono, entro e mi
accoglie una bella porta grande, a vetri. Ma che lusso, penso dentro di me, e
mi sento accolta come nel palazzo reale.
“Ma che ci fa lei qui?
– mi blocca un vocione alle mie spalle – Ma chi l’ha fatta entrare??”
Vergognandomi come una
ladra, (che io in certe cose c’ho un po’ la coda di paglia), spiego quel che
sono venuta a fare.
“Ma non l’ha visto il
cartello?!” – sbotta il tipo un filino troppo scortese per i miei gusti e mi indica
il muro a fianco, dove, ad altezza culo ginocchia, un foglietto di quaderno,
scritto a pennarello nero in corpo 11, si legge un “Accomodarsi in saletta”,
dove per saletta, scopro dopo, si intende un’intercapedine dove più che
“accomodarsi” delle persone ci potrebbero passare i tubi del gas.
Potrei polemizzare sul
fatto che una caserma costruita apposta (e non ricavata in un palazzo vecchio,
per dire), potrebbe avere lo sportello per il pubblico in vista e non nascosto,
ma fa già caldo e poi non si può sempre star lì a guardare il pelo.
Gli spiego quello che
devo fare e lui comincia a scrivere.
“Cognome e nome?”
Glielo dico. Glielo
ripeto. Glielo mostro sul documento. Che vabbè che c’ho un cognome un po’
lungo, ma non è che ci possiamo far la notte su questa cosa. Alla fine,
seguendo il cognome con il dito sulla carta d’identità, riesce a riportarlo sul
computer e tiriamo entrambi un respiro di sollievo.
“L’indirizzo è Via
N.****** virgola 22?”
“Sì, Via Nino ******
numero 22.”
“Ah. E’ cambiato?”
Penso voglia fare lo
spiritoso ma la sua faccia è preoccupantemente seria.
“Telefono?”
Glielo detto, poi ci
ripenso e dico, “Meglio che le dia il cellulare, tanto a casa non ci siamo
mai…”
“Che c’entra – mica è
per chiamarla – è solo perché il programma me lo richiede.”
Cretina che sono.
Ad un certo punto vedo
che armeggia con il computer. Mi guarda. Si passa nervosamente le dita tra i
capelli. Mi guarda di nuovo. Comincio a preoccuparmi: cosa vedrà mai in quel
computer che io non so? Qualche mia omonima ha sterminato una famiglia e cotto
il cane in forno? Qualcuno che mi somiglia avrà mica rubato una decapottabile e
sarà in giro a far fuori i nani da giardino? Non si può mai sapere. Quando
prende in mano la cornetta comincio a deglutire. Chiede rinforzi, dopo 10
minuti arriva il secondo. Dopo un quarto d’ora arriva il terzo. Viene fuori che
la tesserina ha troppi numeri, non ci stanno nel computer.
“Ma lei è sicura che i
numeri del bancomat siano questi?!” sbotta l’ultimo.
“Certo che sì!”,
rispondo e gli mostro lo stampato della banca.”
“Ma lei è sicura che
la banca le abbia dato i numeri giusti?” – chiede con l’aria di chi quelle come
me se le mangia a colazione. Comincio a chiedermi di quanti membri sia composta
la sua famiglia e se il suo cane possa entrare nel forno.
“Non ho fatto
un’indagine – spiego calma – ma i numeri sono questi, vede?” e gli mostro
un’altra tesserina del bancomat.
“Ahhhhhh, ma allora
l’ha ritrovata!”, esclama sollevato.
Eccerto. È che sono
una precisina: quando perdo una cosa mi piace che rimanga sempre qualcosa di
scritto. Di solito vado da un notaio, ma oggi è chiuso. Che almeno venga messo
a verbale.
Dopo aver versato
sudore e lacrime riusciamo in qualche modo a venirne fuori, e siamo tutti
sollevati: io e tutte le forze dell’ordine presenti. Nell’aria, la
soddisfazione di un lavoro ben fatto.
Dentro di me, il
rammarico che nel 3000 si debba ancora perdere tempo con ‘ste menate, quando
dovrebbe essere sufficiente una telefonata al numero verde. E mi vien già
l’ansia per quando dovrò ritirare la nuova tesserina in banca.
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